Guida Turistica agli Aldiquà Selvatici è l’ultima uscita di Čapek magazine: un volume di ironia, sguardi e immagini scritte.

Dopo una chiacchierata telefonica con Nicola Feninno, direttore di CTRL Magazine, caporedattore e cofondatore di Čapek, abbiamo fatto un tuffo nell’aldiquà del loro mondo. Vi portiamo con noi.

 

 

Intervista a Nicola Feninno

 

Chiara Zonta

Il titolo Guida turistica agli Aldiquà selvatici mette in discussione che l’aldiquà sia un dove, un modo univoco di esistere, la preposizione “agli” premette una molteplicità. Nel magazine si analizzano molti modi di vedere gli aldiquà, pensi che tutti quelli esistenti siano messi per iscritto in questo progetto o pensi ne esistano altri?

Nicola Feninno

Vorrei cominciare dicendoti che io in primis sono parte di una redazione molteplice, composita: più realtà, più magazine che si mettono insieme, per creare questa associazione editoriale a delinquere che è Čapek. Il plurale, bellissima intuizione, deriva dal fatto che il primo volume si intitolava Guida Turistica agli Aldilà Possibili ed era ancora più provocatoria l'idea per cui se dai un plurale sugli aldilà, questi di solito sono considerati uno e univoco. Il titolo, anche in questo caso, è una provocazione, vogliamo parlare di allargamento della realtà, pensiamo di conoscere tutto quello che abbiamo intorno e magari effettivamente non conosciamo nemmeno il nostro vicino di casa. Magari anche il nostro vicino di casa è un Aldiquà Selvatico, apriamo la sua posta e possono accadere cose, quindi sicuramente in questo progetto non ci sono tutti per iscritto, sarebbero e sono infiniti.

CZ

Allora ti chiedo, fra gli Aldiquà messi per iscritto e non, quale preferisci?

NF

A me, anche per il gusto dell'assurdo, piace molto Pitigliade perché è la versione ultraterrena dell’aldiquà di Pitigliano. Pitigliano è una cittadina nella Maremma dove ha sede la libreria di Stampa Alternativa, la casa editrice di Marcello Baraghini: uomo ottantenne, incredibile rivoluzionario da quando ne aveva sedici. Baraghini è un po’ il nostro padrino, è l'editore all’incontrario di questo progetto ed è per noi un importante portale generazionale.

CZ

Quindi un bel confronto. Ho l’impressione, correggimi se sbaglio, che il filo conduttore del progetto consista in una ribalta dei margini, di tutto ciò che tendenzialmente è fuori dal nostro campo visivo e percettivo. Cosa vi ha portato ad avere una sensibilità o una necessità nei confronti di questo tema?

NF

È una passione, è la missione che accompagna tutti i collettivi che fanno parte di Čapek. Io come direttore di CTRL, che è una rivista di reportage narrativo, ho sempre indagato tutto quello che sta fuori dai radar, è una visione laterale dei margini sul mondo. Tutto sta diventando più monovisione con i grandi temi che diventano trend, ma spesso è con uno sguardo laterale che le cose diventano più varie e più complesse ed è qualcosa che muove tutti i collettivi presenti. Marcello Baraghini, che ti ho prima citato, ha lanciato negli anni ‘90 un progetto di libri che vendeva a 1000 lire e che analizzava proprio i margini, è grazie a lui che l’editoria italiana si è completamente rivoluzionata. AFA Festival fa parte del collettivo di Čapek, è un festival di autoproduzioni underground, o ancora, il collettivo di artisti UOMINI NUDI CHE CORRONO di Macerata, si interessa a tutto ciò che è margine, è un qualcosa che fa parte del nostro approccio. Lo stesso interesse muove Ivan Hurricane, il direttore della rivista.

CZ

Pensi che ciò che accade ai margini sia quello che si innesca poi nel centro?

NF

Sì, spesso lo sguardo dai margini è interessante a più livelli, sono spesso le cose che poi cambiano il mondo. Se vogliamo metterla così ciò che sta al centro inizia sempre ad avere un terreno fertile prima dai margini, nel bene e nel male. Da un lato c'è questo aspetto, dall'altro quello che viene respinto ai margini che è anche ciò che non vogliamo vedere. È un vortice, si mischia tutto quello che rimane, tutto ciò che viene buttato via, come gli ossi di seppia dopo che l'onda è tornata indietro.

CZ

In aCQualandia si trovano gli strani esseri umani che hanno utilizzato impropriamente il CQ nei commenti Facebook, poche pagine dopo nello StronZoo sono rinchiusi gli stronzi che ci importunano, ma alla fine del testo c’è una postilla che ci mette in allerta: anche noi siamo gli stronzi di qualcuno. Ho recepito l’avvertimento come la chiave mancante nel quadro della contemporaneità (occidentale): tutti abbiamo diritto di esprimerci, tutti lo facciamo e con i social tutti abbiamo un canale per veicolare le nostre idee, ma ho la sensazione che tutta questa libertà di espressione ci distragga dal tempo dell’autocritica. Siamo così impegnati ad esprimere e a far valere le nostre opinioni nella frenesia dei social da non avere il tempo di analizzarle davvero. Che ne pensi?

NF

È un discorso vastissimo. Il meccanismo di funzionamento di queste piattaforme influenza da un lato quello che vogliamo esprimere, ma soprattutto quello che viene premiato a livello di visibilità. Anche questo iper opinionismo, questo gusto dello scontro fine a se stesso, fa parte dell'essere umano di per sé. È una questione di monetizzazione, è un modello di business che funziona con la pubblicità e per far si che le persone stiano tanto tempo in questa sorta di arena, è normale che si litighi. Sia chi litiga sia chi assiste al litigio è più attratto, è quello che succede normalmente quando passiamo in un bar e vediamo una rissa: siamo spaventati, ma non riusciamo ad andarcene veramente. Io credo tutto questo sia un po’ un cane che si morde la coda. Il meccanismo influenza il modo in cui stiamo sulle piattaforme e alla lunga, sicuramente, influenza anche la nostra vita, il nostro modo di pensare, il nostro modo di porci anche al di fuori del mondo digitale.

CZ

Pensi quindi che questa dinamica esisterebbe indipendente dai social perché connaturata nell'uomo?

NF

No, secondo me quasi al contrario, intendo dire che pensiamo fin troppo a quello che diciamo. Capisco il tuo punto, però è come se le opinioni che esprimiamo sui social o l'immagine che diamo di noi stessi siano sempre influenzate dalla consapevolezza di avere un pubblico di fronte a noi. Sicuramente ci sono dei kamikaze che scrivono la prima cosa che gli passa per la testa, ma tutti sanno che dall'altra parte c'è qualcuno che legge.

 

CZ

L’intero magazine è costituito dall’alternanza o la simbiosi fra testo e immagine, il progetto sembra essere a tutti gli effetti una favola per adulti. Utilizzo il termine favola perché spesso è un’immagine che associamo al mondo infantile, ai libri illustrati dove i bambini si innamorano delle storie guardando i disegni. Qual è stata la motivazione che vi ha portati a fare questo tipo di scelta? Sono concetti, come dicevamo prima, così marginali da richiedere un’esecuzione visiva per poter essere amati?

NF

La coesione tra testi, immagini e fotografie è un punto che ci sta a cuore, ci interessava rompere le barriere di genere. Io mi occupo di parole, faccio lo scrittore, ma gli altri collettivi che fanno parte di Čapek sono principalmente dediti al fumetto e all'illustrazione. Come dicevamo prima, nei margini, tutto in qualche modo si mescola e utilizzando più mezzi diventa forse più afferrabile e allo stesso tempo più sfuggente l’insieme. Volevamo rompere questo tipo di barriere che forse non hanno più senso di esistere, almeno per noi.

CZ

Il magazine è suddiviso in un qual modo in categorie tematiche, come sono stati suddivisi i macro argomenti fra gli autori? È nata da una loro necessità di comunicare su quel tema o è gli stata proposta?

NF

Noi come redazione abbiamo cercato di creare un’ossatura, uno scheletro, dividendo gli Aldiquà in sottoinsiemi. Sapendo che alcuni grandi temi ci interessavano, avevamo una serie di idee in cui infilare le cose, ma poi il nostro metodo è lasciare la massima libertà e proponendo allo scrittore o la scrittrice, al disegnatore o la disegnatrice un ambito di loro interesse. Naturalmente poi succedono una serie di sorprese per cui l'autore che coinvolgi propone tutt'altro che può far nascere addirittura una nuova sezione. Per ogni Guida è almeno un anno di follia, di brainstorming e di commissioni. La cosa più difficile è dover mettere un punto.

CZ

Ad un certo punto si parla di Chiesa Estropica, una chiesa fondata nel 1988 che nasce come critica alla religione, in particolar modo al cristianesimo e che crede invece nello sviluppo tecnologico che spinge oltre i limiti umani. Non pensi che la costante ricerca di creare movimenti che coinvolgano gruppi di persone più o meno ampi, siano tutti tentativi di istituire degli aldiquà totalizzanti per escludere degli aldiquà “sbagliati”, ma per chi e per cosa? Le religioni nascono per giustificare qualcosa, per spiegare l’ignoto, poi finiscono costantemente confutate da altro: le divinità romane si sono eclissate con il cristianesimo, ora il cristianesimo si fa fregare dalla scienza. Ad oggi com’è possibile secondo te credere in qualcosa con la consapevolezza che qualcos’altro sarà la sua negazione?

NF

Abbiamo messo queste chiese transumaniste naturalmente con uno spirito provocatorio. Il transumanesimo è un movimento quasi religioso, esiste davvero e vede il superamento dei limiti dell'essere umano tramite la tecnologia. È lo stesso meccanismo che abbiamo sempre adottato dall'alba dei tempi dell'essere umano. Tutto inizia dalla consapevolezza che devi morire, siamo forse gli unici animali che hanno questa cognizione. Cerchiamo soluzioni più o meno assurde, più o meno condivise a livello sociale, più o meno totalitarie per affrontare l’abisso che abbiamo di fronte, la morte. Ad oggi sempre lo si fa rivolgendosi alla scienza. Naturalmente abbracciare un’idea ha sempre un forte potenziale di rischio, di perdita di identità, di svolte totalitarie, di emulazione, etc.. Allo stesso tempo anche una società completamente atomizzata è molto più semplice da controllare, il tutto sta un po’ nel riuscire a cogliere la transitorietà, riconoscendo la trasformazione del collettivo in noi. Decidiamo di fare dei compromessi per un bene superiore, ma con la consapevolezza che queste idee potrebbero cambiare, potremmo cambiare noi e quindi saremo pronti a considerarne altre. In realtà anche la religione stessa, soprattutto quella cattolica, è sempre stata molto mutevole per includere il maggior numero di fedeli, quindi ci sono delle leggi universali che poi scegliamo di allargare e trasformare. In fondo, nessuno è così disumano. Tantissime cose sono cambiate, ma non è cambiato il bisogno primario di colmare quel vuoto in maniera più o meno saggia, più o meno individuale.

 

CZ

Ho amato un capitolo in particolare più di tutti, Virtualia, la realtà in cui ogni peculiarità umana viene estremizzata. Ci sono i ieristi formali che camminano sempre avanti ma guardano sempre indietro; i ieristi informali con il collo lungo lungo e che sono accecati dall’ideologia; i domanisti determinati a superare ogni barriera con qualsiasi mezzo; gli oggisti (in cui io personalmente mi identifico) non concepiscono l’insieme di punti come una linea retta ma come punti sparsi, ogni giorno si svegliano con una nuova vita e un nuovo scopo e i sempristi, girano sempre al contrario di come gira il mondo e quando il mondo gira nel loro senso sono morti da tempo. Tu in quale categoria ti identifichi e per quale motivo?

NF

Mi definisco uno ierista pentito; ora mi identifico più in una versione oggista.

CZ

C’è una parte di reportage fotografico di Carlo “Carlino” Fè con la psicocronaca di Rastabbello che si intitola Scopone Ultrascientifico e che illustra le foto di un torneo diScopone fra “giovincelli”. La scienza per definizione è fondata sull'osservazione, sull'esperienza e sul calcolo. Pensi che la quotidianità possa essere un’antiscienza della scienza? La scienza delle piccolezze vs la scienza della grandiosità.

NF

Nella dicitura Scopone ultrascientifico c’è innanzitutto il mondo di Pitigliade, questo mondo di quasi anziani dell’oltretomba, ma che forse sono più giovani di noi. Prima cosa: Carlino è un fotografo di Pitigliano, sui 75 anni; poi c'è lo Scopone Ultrascientifico, un gioco che esiste dai tempi che furono. È effettivamente quello che dici tu, siamo tutti ultrascientifici. Ultra del doppio senso, di andare oltre la scienza: siamo mossi da cose che a volte la contraddicono, da pensieri magici, da riti, da scaramanzie e da tutto il resto che in qualche modo è la quotidianità. La visione dall'alto invece, più statistica, vede tutti questi fenomeni che si compongono in un disegno non predestinato, ma in qualche modo più leggibile: è una questione di distanze.

 

CZ

Ora che l’intervista è finita possiamo svelare che sei un rinomato giardiniere Zen, puoi dirci di più di questo tuo ruolo?

NF

Čapek ha una redazione bella e varia e una quantità folle di collaboratori di diverso tipo. Quindi ha bisogno di qualcuno che faccia finta di mantenere la calma in mezzo alle tempeste. Questo, ahimè, è un ruolo che mi viene abbastanza bene e che la gente mi addossa, da qui Zen.

 

Se i margini dei tuoi libri sono lo spazio dei tuoi pensieri, forse li trovi riflessi QUI.

08 luglio 2024 — Chiara Zonta
Tag: interviste

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