Backstage Talks nel nostro Secret Mag Club di Ottobre
Di Maria Vittoria Navati
Backstage Talks è una rivista indipendente che ruota attorno a dialoghi informali ma approfonditi su design e business, per imparare dal modo in cui gli intervistati pensano e affrontano il loro lavoro.
I suoi editori scrivono: le scelte che prendiamo modellano e influenzano il mondo complesso in cui viviamo; per riuscire a prendere decisioni giuste dobbiamo parlare.
Tutto il magazine è una grande intervista su come il design può cambiare le cose in meglio, rendendosi utile e piacevole. Backstage Talks, pur proponendo il punto di vista di creativi intervistati già molte volte, riesce sempre a trovare un modo per portare un valore reale e duraturo ai propri lettori. Perché “Great conversations are timeless”.
Lo stile della rivista è senza fronzoli: semplice formato A4, nome diretto e dichiarazione d’intenti scritta sulla copertina. Proprio la copertina di questo ultimo numero, il sesto, è anche la prima ad abbandonare gli ormai caratteristici visual tipografici in favore dell’illustrazione.
La descrizione sotto il titolo ci rivela il tema: la curiosità e l’emozione sono parti necessarie di ogni progetto creativo, come possiamo nutrirli in una contesto di ansia globale e incertezza?
Nell’editoriale “Collect and connect”, Zuzana Kvetková invita i designer ad andare oltre il design per trovare idee nuove e rimanere aperti a qualsiasi cosa capiti nella loro strada. Solo osservando, esplorando e collezionando senza giudizio iniziamo a vedere parallelismi tra cose che un momento prima sembravano distanti. Queste connessioni inaspettate e incidenti fortunati sembrano spesso portare ai migliori lavori creativi. Questa potrebbe essere una delle tante chiavi per stimolare la curiosità.
Se la risposta “Kim Kardashian” alla domanda “Cosa ti ispira?” vi scatena una risata spontanea o un po’ di perplessità, l’articolo di Martin Jenča fa al caso vostro.
L’ambiente in cui viviamo ci influenza in un modo così ampio che non possiamo veramente comprenderlo, anche se ne siamo consapevoli. La nostra città, il vicinato, il settore in cui lavoriamo, la famiglia, gli amici e i nemici. Tutto questo ci insegna in modo inconscio quale sia il modo appropriato di parlare, vestire e pensare, rispettando certi modelli.
Cose belle possono nascere quando uniamo parti di culture opposte e differenti. Arte alta contro cultura pop, scena alternativa contro quella commerciale, filosofia contro piaceri semplici. Ma una vocina nella nostra testa ci dirà sempre “questa cosa non va bene”. Non puoi ascoltare le Spice Girls e anche la musica classica. E anche quando ci troviamo a trarre piacere o utilità da cose “basse” ce ne vergogniamo.
Come vogliamo produrre cose belle e utili se ignoriamo qualsiasi cosa sia diversa? Il disprezzo per i mass media non ci rende migliori. E nemmeno quello per le sottoculture. Il giudizio istantaneo uccide la curiosità. Non lasciamo che il nostro ego e il nostro senso di superiorità limiti l’esplorazione del mondo attorno a noi. Concediamoci la possibilità di dare forma alle nostre opinioni. Per allenarci a questo esercizio, Jenča riporta tre lezioni che possiamo imparare da Miley Cyrus. Riuscite a immaginare quali potrebbero essere?
Cosa rende le cose eccitanti per te?
Per Anne Bachman, creative director di Freitag, l’invisibile. I designer sono spesso associati alla creazione di forme e funzioni, ma l’essenza del design è qualcosa che non puoi vedere. Il contesto invisibile in cui vengono pensate cose che rimangono nascoste sotto la superficie è il più affascinante. In questo il design è come un fungo, in cui la parte cruciale dell’organismo rimane nascosta sotto il suolo. È la stessa cosa con i progetti che realizziamo, manifestazioni di valori e principi di design o, in certi casi, di alcune limitazioni. Nel risultato finale molto rimane invisibile: la ricerca della perfezione, l’elaborazione e lo scarto di idee e tanto altro ancora. La trasformazione di qualità invisibili in qualcosa di cui le persone possono avere esperienza è una sfida che non smette mai di ispirare.
La risposta di Chloe Scheffe, graphic designer, è il cambiamento. Ricercare costantemente il cambiamento è la miglior maniera per affrontare la vita. Costruire emozioni inaspettate e una cadenza che non si riesce realmente a prevedere. Il cambiamento come principio facilita una migliore consapevolezza di noi e di ciò che ci sta attorno giorno per giorno. Aiuta ad apprezzare e notare il mondo in cui viviamo in ogni momento. Ricercare il cambiamento significa fare i conti con tutte le esperienze che abbiamo accumulato fino a quel momento e, contemporaneamente, vivere cose nuove.
Kenya Tara, art director del “non brand” Muji, ricorda che non c’è nulla che non sia stato progettato. Fin dall’età della pietra i primi umani hanno iniziato a costruire oggetti con le mani. Gli esseri umani producono strumenti, ma quando uno strumento viene creato nascono nuove possibilità di azione e l’ambiente può cambiare, trasformando di conseguenza i desideri umani. Man mano che i desideri evolvono, nuovi desideri creano nuovi dispositivi. In questo modo, dagli strumenti di pietra siamo arrivati allo smartphone, passando da funzioni e desideri semplici a funzioni e desideri complessi. Il risultato ultimo di questo processo di co-evoluzione di strumenti-desideri è ormai chiaro: a oggi siamo in procinto di danneggiare in maniera irreversibile l’ambiente in cui viviamo. Secondo Tara quello che dobbiamo fare è comprendere questa crisi e considerarla come un aspetto essenziale del design contemporaneo.
Nella sua intervista, Giorgia Lupi — maestra del Data Driven Design e mente creatrice di progetti come “Dear Data”, “Incroci” e del libro d’artista per Moleskine Foundation — svela come lavora con l’arte di trovare storie attraverso i dati. I dati come entità non esistono: sono stati inventati dall’essere umano come modo per astrarre, descrivere e quantificare la realtà. I dati sono anche il materiale più contemporaneo che possediamo. Con la pandemia questo è diventato evidente: siamo passati da essere spaventati dai dati a essere capaci di comprenderne l’importanza come strumento di misurazione di eventi.
Secondo Lupi, l’arte di scovare storie è sempre più importante di ogni parte analitica: si tratta di trovare una visione umana in un set di informazioni.
Effettivamente, i nostri cervelli sono programmati per essere curiosi perché non conosciamo mai il valore dell’intuizione o dell’informazione di fronte a cui ci troviamo. Se la conoscessimo in anticipo ci perderemmo molto. Talvolta l’ambiente cambia e le cose che crediamo di conoscere peggiorano o prendono strade inaspettate, o opportunità che non consideriamo si rivelano favorevoli. Siamo programmati per essere curiosi perché l’evoluzione ha compreso che l’essere puramente pragmatici non è sufficiente.
Backstage Talks riporta le testimonianze di creativi come Stefan Sagmeister, Tibor Kalmam, Mark Porter, Emily Oberman e Mirko Borsche con una forma di scrittura diretta che attraversa tutto il magazine. La parola è assoluta protagonista e il design lavora affinché il testo sia accattivante da solo, riuscendoci perfettamente. Il mix tra contenuti di qualità, un design essenziale ma sempre inaspettato e un tono di voce informale la rende una delle riviste più interessanti che potrete sfogliare.
Recensione a cura di Maria Vittoria Navati