Poster design per l'editoria indipendente

ne parliamo con Bytwo Design

Milano, ma anche l'editoria stessa, è un luogo trafficato dove incontri inaspettati e poi fertili pullulano ed espandono le giornate. Esattamente un anno fa, durante la Design Week, abbiamo conosciuto Mohammed e Abdullah di Bytwo Design, un duo grafico e di direzione artistica con sede a Riyad in Arabia Saudita. Da delle chiacchiere prima più informali, ci siamo conosciuti e riconosciuti nella passione condivisa per le riviste e per la carta stampata, e così abbiamo sviluppato una connessione che da Milano ha portato Frab's a PaperBack, e che poi ha richiamato Mohammed e Abdullah a Milano per la realizzazione di una serie di poster brandizzati Frab's.. 
In attesa di vedere il risultato visuale di questo primo progetto insieme, abbiamo pensato di farci raccontare il dietro le quinte dei poster che vedrete appesi nelle giornate del festival. 

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Il vostro lavoro si colloca tra il graphic design e l’editoria, con un occhio di riguardo per la carta stampata. Come e perché avete scelto di occuparvi di tutte e tre queste fasi?
Diciamo che da sempre siamo appassionati di design e editoria, quindi sia il nostro modo di progettare che il nostro studio ne tengono conto; a questo, poi, si aggiunge il fatto che in Arabia Saudita è ormai comunemente diffusa la convinzione che la carta stampata sia morta e che tutto sia digitale; per noi non è affatto così, e per questo ci teniamo a occuparci di un libro o di un qualsiasi progetto editoriale dall’inizio alla fine. Vogliamo dimostrare che la carta stampata è viva e indispensabile.

La stampa è quindi qualcosa a cui siete molto legati, ma dal punto di vista tecnico e progettuale perché è così importante?
 Quando progettiamo dei libri prima uniamo graficamente diversi elementi, come la composizione, il colore, la tipografia e l’estetica, e poi li vediamo realizzarsi concretamente su un supporto fisico. La materia stampata è quindi il risultato tangibile del nostro lavoro: ci rappresenta e ci da un riscontro effettivo di quanto abbiamo fatto; in più, diversamente da qualcosa che vive solo online, occupa uno spazio effettivo nel nostro archivio e studio, segnando i passaggi del nostro lavoro. Anche per questo abbiamo scelto di collaborare principalmente con realtà legate all'ambito culturale.

Tra i vostri progetti stampati ci sono anche molti poster, rispetto a un libro o a una stampa in formato più piccolo, che funzione hanno nel vostro lavoro e perché avete interesse a realizzarli?
Ciascuno dei nostri progetti ha il suo poster: è il nostro modo di concludere e celebrare il lavoro fatto. Noi lo facciamo a prescindere dalla richiesta del cliente che spesso dopo averlo visto ne richiede diverse copie.
Da un punto di vista più tecnico, invece, realizzare un poster è anche un modo per rafforzare il rapporto con le tipografie. Ogni volta sperimentiamo nuove tecniche di stampa e valutiamo fino a dove possiamo spingerci, sia in termini tecnici che creativi. Aggiungerei poi che questa nostra passione è stata rafforzata dalla residenza fatta nel 2022 a Dafi Kühne, in Svizzera, dove abbiamo lavorato solo in analogico: nessun computer, solo letter press. Questo ci ha avvicinato ancora di più al desiderio di sperimentare e di avere come out put finale un supporto cartaceo. 

Un poster o una locandina segnano la fine di un lavoro ma allo stesso tempo, in pochissimo spazio, ne comunicano i contenuti e gli obiettivi. Mi chiedo però se vi sentite più liberi e agevolati con un contenuto pensato unicamente per le piattaforme online. 
Sicuramente realizzare un contenuto da posizionare in uno spazio reale ha delle implicazioni e dei limiti notevoli, tuttavia per noi non è penalizzante. Partiamo dall’idea che ogni volta stampiamo i poster in serigrafia e che quindi dobbiamo pensare in termini di livelli di colore e di costi. Il nostro raggio di azione passa così dai 17 colori in digitale a una palette più sottile, ma allo stesso tempo più ragionata. Un esempio è il poster per il rilancio di Brownbook. Il design originale aveva circa 70 livelli di colore, ma in prova di stampa li abbiamo ridotti a 3. Il risultato finale, anche se dettato in parte dal budget, è stato molto più potente rispetto all’originale.

I poster quindi seguono uno schema, forse libero, ma che ha comunque delle tracce. Quali sono le vostre linee guida?
Innanzitutto, per noi è importante che siano leggibili e impattanti a livello visivo. Poi, devono avere uno scopo, un messaggio da diffondere – anche semplicemente estetico. In secondo luogo il testo o il claim, la data e il luogo sono gli elementi a cui prestiamo maggior attenzione, considera infatti che Ia maggior parte dei poster è legata a eventi o a lanci. E quindi dall’essere potenziali oggetti effimeri, diventano veri e propri oggetti da collezione. Noi, per esempio, stiamo collezionando i poster delle Expo, soprattutto quelli degli anni ‘60 o di Milano 2015. Quei poster custodiscono la storia, riportano sia dati contestuali che aspetti emozionali.  

Esatto credo che la forza comunicativa dei poster sia proprio nella loro capacità di dirci o trasmetterci qualcosa con poche e precise informazioni, siano essere ordinate o molto caotiche. Da queste considerazioni, passerei al Mag to Mag e a chiedervi se avete già qualche qualche idea in mente?
Prima di tutto ci teniamo a dire che il Mag to Mag è stato un passaggio fondamentale per il nostro percorso perché ci ha convinti e spinti a creare PaperBack. Ed è proprio questo legame e affetto condiviso per la carta stampata che vogliamo comunicare. In particolare, stiamo ragionando sul contrasto tipico tra la carta lucida delle riviste e quella opaca dei libri. Le persone associano istintivamente la carta lucida alle riviste, noi vogliamo trasformare quella sensazione tattile in un elemento grafico, magari utilizzando finiture speciali, o animazioni. In questa fase di ricerca creativa, stiamo anche cercando ispirazione visiva attraverso gli archivi di diverse riviste italiane.

A proposito di materiale di archivio, quanto è importante la fase di ricerca e di studio nei vostri progetti, incluso il Mag to Mag?
Moltissimo. Archiviare e fare ricerca ci permette di collegare passato e presente. Ci piace osservare vecchie grafiche e ridisegnarle in chiave contemporanea; per esempio per un poster di Brownbook abbiamo ricreato uno stile 3D disegnato a mano che avevamo trovato su una copertina degli anni ’60. Lo abbiamo reinterpretato con strumenti moderni: animazione, 3D, tipografia. Gli archivi quindi ci mostrano come si progettava in un’epoca in cui tutto era ispirato all’ambiente locale, senza influenze globali e ci riavvicina a un contesto visivo autentico. Per il poster del Mag to Mag, vogliamo quindi partire dal patrimonio culturale italiano ed europeo condiviso dalle riviste per poi reinterpretarlo.  

Prima abbiamo parlato di collezionismo, di claim e di riconoscibilità, sia per quanto riguarda i dati temporali sia per quanto riguarda l’adozione di specifici colori ed elementi. Per il Mag to Mag, utilizzerete i colori e le componenti grafiche delle edizioni precedenti o sperimenterete anche in base alle vostre ricerche?
Proprio perché i poster sono testimonianze visive della cultura di un dato periodo, poniamo tanta attenzione ai dettagli, dal layout, alla leggibilità, alla carta e ai colori. In particolare, cambiare il colore è una scelta delicata, è come cambiare il nome. La gente associa un dato colore a un dato evento e cambiarlo può creare confusione. Tuttavia, questo è un rischio che possiamo correre. Anzi, proprio perché siamo aperti alla sperimentazione, in fase di progettazione proporremo sia una versione dai toni più neutri, sul bianco e magari con degli accenni sul rosa, sia delle versioni più audaci, magari alcune più fedeli a quelle passate e altre radicalmente diverse o più sobrie. Chiaramente prenderemo la decisione finale insieme, ma quello che vogliamo è che sia una scelta consapevole, non solo una tendenza.

E tra le varie componenti da tenere a mete, il Mag to Mag si svolge in Europa, a Milano. Sul piano lavorativo e progettuale, ci sono delle differenze tra il contesto europeo e arabo?
Sì, grandi differenze. In Arabia Saudita la cultura del poster praticamente non esiste. Forse siamo l’unico studio a produrli regolarmente. Noi continuiamo a realizzarli e a confrontarci con il pubblico: mentre diffondiamo la cultura legata al cartaceo, ci rivolgiamo all’Europa e veniamo spesso in Italia. Per cui avremmo la necessità di parlare con le persone ed esplorare la cultura visiva locale. Diciamo che per noi è importante non esimerci dal confrontarci con materiali e pubblicazioni fuori dall’Arabia.

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Quel contrasto tra tradizione e modernità si percepisce molto. Come lo bilanciate nel vostro processo creativo?
Non vogliamo mai sembrare designer esterni che impongono una visione. Il nostro processo parte sempre dall’ascolto e dalla ricerca. Studiamo la cultura per cui stiamo progettando, e solo dopo iniziamo a creare. È paradossale come a volte dopo settimane e mesi di ricerca, bastino solo 5 ore per arrivare al prodotto finale. Per esempio, per il poster di Brownbook abbiamo fatto un mese di ricerca e poi 4 ore di design. Il pensiero è tutto.

Ed è proprio questo che rende il vostro lavoro umano. È un design che parla alle persone.
Esattamente. Non vogliamo creare cose che sembrano generate da un’intelligenza artificiale o senza identità. Vogliamo che il nostro design sia radicato in un luogo, in una cultura, in un materiale. In qualcosa che puoi toccare, in qualcosa che rimane.

May 17, 2025 — VALENTINA ANGELI

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