Copertina rosa confetto e un font che nella nostra mente richiama il mondo gotico, ma non lasciatevi ingannare dalla (bellissima) copertina, The Bloody Mary è davvero quello che non ti aspetti. Jesy Moliterno e Uliana Sgura, founder della rivista, hanno regalato al panorama dei magazine indipendenti italiano quel progetto ad alto grado di sperimentazione che forse mancava da un po’. Tra queste pagine, tra un susseguirsi gabbie grafiche e font pronte a cambiare per sposare il contenuto che accolgono, troviamo un concentrato di fotografia, arte e bellezza. Il tutto mantenendo quella coerenza estetica e concettuale che solo le cose fatte davvero bene hanno.

In attesa del secondo (che poi sarebbe il primo) numero della rivista, abbiamo chiesto a Jesy e Uliana di raccontarci la genesi della rivista e qualche curiosità del numero pilota: Made in quarantena.

1) Come descriveresti The Bloody Mary alle persone che non vi conoscono?
Cominciamo forse con la domanda più difficile di tutte.
Possiamo sicuramente definire dei punti chiave, sotto forma quasi di ricetta: estetica, grafica, fotografia, testi q.b. ovvero il minimo indispensabile, brand e artisti emergenti, arte, architettura, poesia, interattività e, perché no, anche un po’ di esoterismo. Nel Numero 0, per spiegare meglio le aree sopra citate, oltre ai progetti fotografici e non, abbiamo anche dato inizio ad una rubrica esoterica, in questo caso si parlava di Tarocchi.
Ma c’era anche una sezione dell’oroscopo in cui, come nelle riviste anni 90, si può compilare a mano il calcolo del proprio ascendente. Più di tutto, quello che ci piace fare è dare degli stimoli, dei nuovi input, e non sottoporre il lettore ad una fruizione sterile e automatica. Abbiamo sempre voluto pensare a The Bloody Mary come un contenitore in cui tutto è disposto in maniera organizzata, con la ricerca di una coerenza stilistica che è per noi fondamentale. Coerenza che vogliamo però limitare al singolo numero, non precludendoci cambi di stile durante il tragitto. L’estetica quindi è sicuramente uno dei fattori dominanti, senza però sacrificare in alcun modo il contenuto, il messaggio, che ognuno poi accoglie in maniera differente.
L’idea è di creare dei numeri in qualche modo tematici, con un fil rouge, in modo da poter sviluppare un percorso sensato e non confusionario. Non vogliamo essere una rivista pop, anzi, underground, con l’intento di dare spazio e voce a brand e artisti emergenti, a tematiche poco affrontate. Per il resto, il miglior modo per conoscerci a ora è sicuramente quello di sfogliare il Numero 0 - Made in Quarantena, che siamo sicure spieghi visivamente tutto ciò meglio di noi.

2) Cosa si nasconde dietro la scelta del nome?
L’origine del nome (su cui abbiamo volutamente sorvolato fino ad ora) ha per noi svariate motivazioni. Ci son riferimenti personali, storici, visivi. Ma non possiamo sbilanciarci troppo poiché il numero in cantiere, nonché il Numero 1, sarà proprio incentrato sulla nostra brand identity e quindi anche su questa scelta. Avevamo sempre immaginato il primo numero di lancio del magazine come una sorta di presentazione, di chiave di lettura di tutto ciò che sarebbe poi venuto dopo, per far entrare un po’ il lettore in quelli che sono il nostro mondo e le nostre visioni. Anche se poi il primo numero cronologico, il numero 0, è stato incentrato sul tema quarantena, il prossimo aggiungerà sicuramente un tassello fondamentale, quindi la risposta è: seguiteci, lo scoprirete presto.

3) Come mai avete deciso di realizzare una pubblicazione stampata anziché una rivista online?
Da parte nostra non c’è mai stata la volontà di esser presenti solo sul digital, nonostante il nostro percorso sia iniziato con una banalissima pagina Instagram. Sin dalle prime volte in cui abbiamo cominciato a parlare di questo progetto, l’idea è sempre stata solo una, quella di creare una rivista cartacea. Non abbiamo mai pensato di svilupparla online.
Come spieghiamo anche nell’intro dell’Issue #0, per noi la carta è un’esigenza, è un mezzo di comunicazione fisico che non viaggia attraverso pixel e scroll infiniti in una applicazione, il magazine è per noi un oggetto da toccare, conservare, di cui sentire il profumo, è un’esperienza multisensoriale a cui uno schermo non può in alcun modo arrivare.

4) Il numero pilota è stato realizzato in piena pandemia. Questo ne ha influenzato i contenuti?
Ci piace molto l’espressione numero pilota, perché è esattamente ciò che è stato il Numero 0 per noi. Rispondendo alla domanda, assolutamente si. O meglio, siamo state noi a volerci adattare al momento che stavamo attraversando, sentivamo in qualche modo fosse dovuto e che potesse anche essere una buona idea parlarne in un’altra chiave. Era un periodo molto negativo, poi ognuno lo ha sicuramente vissuto e metabolizzato diversamente, ma il nostro intento era quello di far capire che nulla è sempre così negativo, che anche dalle situazioni più drammatiche può venir fuori qualcosa di positivo, anzi, spesso è proprio uno stimolo ad indagare ed indagarci, per dare origine ad altro, per trasformare alcune sensazioni in bello, in arte, comunicazione. Come detto prima, il nostro numero di lancio previsto non era stato così programmato, avevamo tutt’altro in mente, ma siamo felicissime di aver potuto affrontare questa tematica dandogli nuova vita, e, come avrete notato, non nominando neanche una volta in tutto il magazine la parola Covid. Tutti sapevamo di cosa stessimo parlando, ma dopo mesi di telegiornali e articoli, non era davvero necessario farlo. La cosa più assurda è stata uscire con il magazine in un momento di liberazione da quello che era stato il peso dei mesi precedenti, ma ritrovarci poi nuovamente di lì a qualche mese in una situazione praticamente simile. Ironia della sorte, prevedibile. 

5) Come avete selezionato i progetti e gli artisti ospitati tra le pagine della rivista?
Molti dei progetti presenti nel magazine sono stati sviluppati da nostri cari amici, fotografi principalmente: abbiamo pensato fosse per entrambi una buona occasione per coniugare le nostre idee con la loro visione. Altri li abbiamo scovati facendo un po’ di scouting e abbiamo richiesto loro una collaborazione. Per il resto abbiamo lanciato una call online, ci hanno inviato materiali da ogni parte del mondo, e abbiamo speso davvero un sacco di tempo a selezionare tutto. È stato un duro lavoro, abbiamo dovuto scartare tantissime proposte, ma avevamo già ben chiaro in mente come avremmo sviluppato il numero, e per noi, come già detto, l’estetica, la coerenza stilistica, deve sempre vincere su tutto per avere un progetto finito che sia apprezzabile e ben fruibile. Cogliamo l’occasione per ringraziare ancora una volta tutti coloro che ne hanno preso parte!

6) Qual è il futuro di The Bloody Mary Magazine?
Non ci piace molto parlar di futuro, probabilmente perché siamo entrambe due inguaribili scaramantiche. Fantastichiamo, pensiamo, progettiamo, non ci fermiamo mai, ma il futuro è una variabile troppo incerta per poterle dare tutto questo peso e aspettativa. Ci piace pensare di poterci sempre evolvere (non a caso non abbiamo creato The Bloody Mary con una cadenza predefinita, vogliamo parlare quando abbiamo qualcosa da dire ed essendo coscienti del modo in cui farlo), farci conoscere, instaurare collaborazioni, espanderci portando il magazine anche ad altre idee e iniziative offline e non. A noi piace metterci in discussione, rielaborare, riconsiderare. Di idee ce ne sono, e tante, ma ogni idea ha anche un suo momento e un suo contesto in cui espandersi, ogni idea è figlia di un’esigenza che può legittimamente cambiare. 

7) E il futuro dei magazine in generale?
Il futuro dei magazine, così come il presente, crediamo sia comunque in mano ad una nicchia di fruitori e non sia più un oggetto pop per le grandi masse. Anche le più grandi testate oramai non fanno più i numeri di una volta, ma crediamo che il cartaceo avrà sempre una vita a sé, nonostante la digitalizzazione e nonostante tutto. Il cartaceo è un investimento, per chi lo produce e per chi lo acquista, che non tutti sono disposti a fare, ma siam sicure che riuscirà sempre in qualche modo a ritagliarsi il suo spazio e la sua gloria.

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02 febbraio 2021 — Anna Frabotta

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