Esistono tanti modi per viaggiare ed esistono tanti modi per raccontare un viaggio. C’è chi si affida a guide, in carne e ossa o di carta, chi preferisce resort e viaggi organizzati per non uscire mai realmente dalla propria comfort zone, chi pianifica tutto nei minimi dettagli che il tempo è poco e le cose da fare e vedere tantissime, c’è chi sa rilassarsi e chi corre.
Io faccio parte della categoria di persone che ha bisogno di iniziare il viaggio settimane prima di partire. Generalmente lo faccio leggendo guide, romanzi, facendo ricerche online. Decido così tutto quello che voglio vedere, ma pianifico poco, preferisco decidere cosa fare e dove andare giorno per giorno, considerando le variabili, gli imprevisti, le nuove conoscenze e le nuove scoperte. Anche se c’è stato un periodo della mia vita in cui pensavo che il “mio” modo di viaggiare fosse quello più giusto, quello che ti fa davvero conoscere la cultura di un posto, ho realizzato che, come per qualsiasi altra cosa, non esiste un modo migliore di viaggiare, esiste solo il modo migliore per ognuno di noi.

Una bella lezione in questo senso mi è arrivata da Lost, la rivista di viaggio fondata nel 2015 da Nelson Ng, uno di quei magazine che non si possono non amare e che, proprio per questo, abbiamo scelto come primo magazine da far arrivare agli abbonati al nostro Secret Mag Club nel 2022.
Iniziare l’anno con una rivista di viaggio ci sembrava di buon auspicio, iniziarlo poi con una rivista che il viaggio lo vive e lo racconta in modo intimo come Lost, ci sembrava anche un buon modo per capire come, a due anni dalla pandemia, la stessa nozione di viaggio stesse cambiando. Ma procediamo per gradi. 

Lost arriva dalla Cina e stupisce ancor prima di essere sfogliato.In doppia lingua, inglese e mandarino, si presenta compatto e affascinante, con le sue 300 pagine tenute insieme da una rilegatura filo refe a vista (adoro!), la carta usomano degli interni che contrasta con il cartoncino pesante della doppia cover e un layout che un po’ ricorda un diario di viaggio e che introduce perfettamente il tema del magazine.

lost magazine

Lost non è infatti una guida, non è nemmeno una rivista che ci racconta città alla moda e localini da non perdere (quello lo lasciamo fare a instagram e a sedicenti travel influencer). Lost è l’idea di viaggio nella sua essenza più pura, quella che lo considera come uno stato mentale e un modo per conoscere davvero se stessi, è una rivista per il viaggiatore che vuole allontanarsi dai sentieri battuti e che è pronto ad avventurarsi in viaggi insoliti, scomodi, di quelli che ci mettono un po’ a disagio e ci fanno anche piangere dalla disperazione perché, dopo tutto, alla fine di un viaggio, quello che ci resta non è tanto cosa vediamo, ma chi incontriamo e il modo in cui ci tiriamo fuori da strane situazioni.
L’ottavo numero di Lost ci porta in 10 destinazione, tutte raccontate in prima persona, ma una cosa va detto subito: tra queste pagine non troverete lunghe descrizioni di posti da visitare con travel tips di tendenza, ma stati d’animo, racconti personali e foto, meravigliose e bizzarre, e credetemi, non potreste chiedere di meglio!

Alex Gray apre il numero raccontandoci i mesi in cui è rimasto bloccato, a causa del lockdown, nella casa in cui è cresciuto nel Suffolk, un luogo che a suo dire è tra i più noiosi dell’Inghilterra, ma che nel caos di quello che lo circonda, Alex impara ad amare e a riscoprire. Mentre la pandemia avanza e il mondo si ferma, lui si accorge dei tesori che la sua “noiosa” terra nasconde: natura e boschi incontaminati, fabbriche e cattedrali in disuso, una spiaggia erosa dalle acque e un villaggio che tra quelle stesse acque scomparirà presto. Ma soprattutto scopre il lusso di avere un luogo in cui tornare e da poter chiamare casa, indipendentemente da dove ci si trovi.

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Cheney Chu ci porta in una Tokyo “strange but familiar” perché conosciuta solo attraverso le pagine dei manga, raccontandoci le difficoltà del suo primo viaggio in solitaria: la metropolitana troppo grande e dispersiva in cui anche semplicemente acquistare il biglietto di una corsa diventa un’impresa difficile, l’host dell’hotel scambiato per un malvivente (troppi film horror Cheney?), e il meraviglioso panorama immaginato decine di volte finalmente farsi largo davanti i suoi occhi, dal 53° piano di un palazzo in zona Roppongi Station. 

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Il viaggio a Taipei di Nicolas Farade diventa preteso per riflettere sul nostro senso di non essere o fare mai abbastanza, della FOMO che ci assale e che ci obbliga al senso di colpa quando decidiamo di prenderci una pausa, della paura di non realizzarci e continuare eternamente a chiederci quale sia la strada migliore per noi.

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Surreale e a tratti ironico, chiude il numero il viaggio della speranza di Phoebe Wu in Mongolia che termina con portafogli e documenti rubati, pianti disperati, sbornie di vodka e un’irreverente collezione di foto di uno dei compagni di avventura di Phobe, Chris, mentre fa pipì, ogni volta con uno sfondo differente nel vuoto del deserto dei Gobi.

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Come avrete capito, Lost è davvero differente. Più simile a un romanzo che a un magazine (ma giuriamo che tutti i viaggi contenuti al suoi interno sono realmente accaduti), leggerlo sarà come partire per uno strano viaggio in uno strano tempo.
Quando pensiamo a una rivista fatta bene, impeccabile sotto ogni punto di vista, con design e contenuti che dialogano alla perfezione e, soprattutto, di quelle di cui non vediamo l’ora ne esca nuovo numero, ecco, Lost ne è l’esempio calzante.

Provare per credere. Lost lo trovate QUI

01 febbraio 2022 — Anna Frabotta

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