Le riviste, quelle indipendenti e di nicchia, ma anche quelle commerciali "fatte bene", hanno essenzialmente due scopi: quello di raccontare e immortalare nelle loro pagine il momento in cui sono immerse, ma anche quello di dettare i trend e provare ad anticipare i tempi. Sono, in questo senso, sia descrittive che predittivi e credo che il motivo per cui non potrei mai farne a meno sia esattamente questo. 
Capite bene che, quando sulla scena degli indiemag si affaccia una rivista con le premesse di Inque, resistere alla tentazione di averlo nella propria collezione è pressoché impossibile. 

Inque è il nuovo magazine di Dan Creowe, già editor di AnOther Magazine e founder di Port e Avaunt, e Matt Willey, partner di Pentagram Studio. Si tratta di una rivista/libro dal grandissimo formato, un annuale che ha un'inizio e anche una fine perché i numeri in programma sono solo dieci, il che lo rende ancora più ghiotto ai collezionisti. Inque promette di immortalare tra le sue pagine un decennio che, stando al suo editor in chief, definirà un'era e lo fa attraverso la letteratura, la poesia, il reportage e l'arte. 

Lo scopo dichiarato è quello di creare una rivista completamente adv free da amare e collezionare, uno spazio libero, sia dal punto di vista grafico che di contenuti, dalle "gabbie" imposte da pubbliredazioni e tabellari: "Dopo anni passati a creare riviste (anche se incredibilmente divertenti), la costante e casuale distrazione della pubblicità e tutto il frastuono che ne deriva ci ha logorato, volevamo vedere come sarebbe stata la nostra rivista ideale, senza le pubblicità", ha dichiarato Dan Creowe in un'intervista a Creative Boom. E anche se di riviste indipendenti dalle pubblicità noi di Frab's ne conosciamo parecchie, dobbiamo ammettere che Inque si distingue dalle altre per la qualità altissima delle sue penne, oltre che per la decisione di realizzarne soltanto 10 numeri.

Tra le sue pagine troviamo non solo nomi altisonanti, tra cui Tom Waits, Ben Okri, Joyce Carol Oates, ma Inque riesce addirittura a far parlare i morti nella serie Dead Interview che Margaret Atwood fa a George Orwell in una conversazione a tratti surreale tra due giganti della letteratura (e della distopia) che proseguirà per 10 anni.
Inoltre, nel corso dei dieci numeri, l'autore Jonathan Lethem scriverà un nuovo romanzo. 

Tra letteratura, fiction e poesie, tra le pagine di Inque troviamo anche opere d'arte e critica all'avanguardia: il maestro ceramista, artista e autore Edmund de Waal scriverà di una straordinaria opera in ceramica in tutti e dieci i numeri e lo storico dell'arte Andrew Graham-Dixon ci rapisce con la sua rubrica su come è cambiata l'arte dal 1500 e di nuovo ora post -Covid. 

Non potevano poi mancare i reportage fotografici, come quello di Pietro Masturzo che ci mostra la (non) vita sulla Striscia di Gaza in una serie di scatti in bianco e nero che catturano tutto il dolore di una realtà spesso ignorata, o quello di Shawn Pridgen che documenterà i cambiamenti di New York nel corso del decennio partendo dal quartiere di Brookin. 

Inque, che trovate QUI, non è solo un magazine di nicchia, è un documento ai posteri di un decennio che definirà non solo un'era, ma l'intero futuro del nostro pianeta se non saremo in grado di trovare soluzioni alla crisi climatica. E se è vero che un magazine non può di certo risolvere il problema, è anche vero che in situazioni estreme l'arte può aiutarci a capire le cose e a vedere con maggior lucidità il nuovo.

06 dicembre 2021 — Anna Frabotta
Tag: recensioni

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