MacGuffin magazine: entrare dentro le cose
‘MacGuffin’ è un termine che fa parte del mondo del cinema. Fu coniato da Alfred Hitchcock e indica il mezzo attraverso cui una trama acquista dinamicità mettendo in moto una serie di eventi. È, in poche parole, qualcosa che per i personaggi di un film costituisce un’importanza cruciale, ma che non ha un vero significato per lo spettatore. Quello che rende tale un MacGuffin non è la natura dell’oggetto in sé, ma l’effetto che genere sui personaggi di una storia.
Cosa c’entra questa premessa con i magazine indipendenti a cui è dedicato questo blog? La risposta è semplice e sta nel nome e nella natura stessa di questo bizzarro concetto coniato da Hitchcock.
MacGuffin è anche il nome di una tra le riviste indipendenti più particolari che conosciamo. Particolare, in questo caso, non tanto per l’oggetto in sé, quanto per il suo contenuto. Prima di avventurarci nel meraviglioso mondo degli indiemag, infatti, non avevamo idea che potesse esserci qualcuno in grado di dedicare un’intera rivista, ben 232 pagine (duecentotrentadue!) a un singolo oggetto, un MacGuffin per l’appunto.
Fondata da Kirsten Algera ed Ernst van der Hoeven, con l'aiuto della graphic designer Sandra Kassenaar, questa rivista di design concentra ogni suo numero su un diverso oggetto all’apparenza banale, ma infinitamente enigmatico. Dal letto alle finestre, dalla palla ai pantaloni, passando per scrivanie, corde e lavelli (si, avete letto bene), unendo una scrupolosa ricerca a un layout pulito ed elegante, MacGuffin riesuma esaurienti miscugli di curiosità, collezioni eccentrici, opere d'arte stravaganti e storie toccanti, tutte collegate all’oggetto su cui vengono puntati i riflettori.
Il nuovo numero, appena arrivato sul nostro shop, è dedicato a un oggetto che, con più o meno consapevolezza, calpestiamo tutti i giorni noncuranti della sua storia: il tappeto. Non solo costosi tappeti persiani, ma anche zerbini economici, tappeti magici e da preghiera, tappeti Navajo e palestinesi (per cui il tappeto non è solo un muro o un tetto, ma indica anche un’assenza incolmabile) o “tappeti” che diventano vere e proprie architetture del territorio, come il Cretto di Gibellina, l’opera di land-art realizzata da Alberto Burri negli anni ’80. E, tra un filato e l’altro, una curiosità e un racconto, c’è spazio anche per approfondire l’invisibile fauna che abita i nostri tappeti domestici.
A fine lettura, quelle 232 pagine colme di design, storia, natura, arte e cultura, vi saranno sembrate anche poche per esplorare un oggetto che avete sempre sottovalutato, ma che vi farà tornare alla mente il fulcro della trama del Grande Lebowski, un tappeto rubato che non dava solo “un tono all’ambiente”, ma all’intero film, ma anche l’eterotopia di Michel Focault, perché il tappeto è uno spazio sospeso tra realtà e immaginazione.
Non è ovviamente casuale la scelta di questo oggetto in tempi di pandemia. Come scrivono Kirsten Algera ed Ernst van der Hoeven nel loro editoriale introduttivo, in questi mesi il tappeto del nostro salotto ha delimitato anche i nostri spazi vitali, diventando palcoscenico e panorama delle nostre giornate passate tra una call e una buona lettura, una serie tv e interminabili ore di smartworking.
Non ci resta che consigliarvi di prendere qualche cuscino, sdraiarvi sul tappeto del vostro salotto e tuffarvi in questa lettura, regalandovi e regalandole tutto il tempo che merita.
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