Trovare un momento di quiete durante Mag to Mag non è cosa facile, l’aria è pervasa di sguardi curiosi e voci entusiaste. Siedo nei piccoli divani del bar vicino al Festival, la mattinata sta cominciando e il brusio delle persone è ancora lieve. Ho così l’occasione di fare una chiacchierata con Daniel Melfi, giornalista, editore e fotografo di origini canadesi. Daniel vive a Berlino e nel gennaio del 2020 fonda 20 Seconds, un magazine che sposa la sperimentazione delle idee su carta, servendosi di arte e musica.

 

Intervista a Daniel Melfi – 20 Seconds Issue 7

 

Chiara Zonta

l nome del magazine 20 Seconds sembra proteso all’attimo. 20 secondi sono il tempo necessario, a fare cosa?

Daniel Melfi

Non è legato solo all'attimo, è più un concetto. Nasce da un sentimento di frustrazione, rabbia e insoddisfazione, verso il modo in cui stiamo vivendo oggi.

Mi sentivo, e onestamente mi sento ancora, frustrato dal fatto che, come società, sembriamo incapaci di concentrarci su un concetto o un argomento per più di 20 secondi. Tuttavia, non è solo la nostra incapacità di prestare attenzione: è tutto ciò che leggiamo, guardiamo o ascoltiamo ad essere creato per consumarsi in modo estremamente rapido. Questo mi fa arrabbiare, non mi piace l'idea che qualcuno ci consideri incapaci di fare altrimenti. Per questo abbiamo creato la rivista: per essere letta con calma, per interagire con essa in un tempo più lungo, con pazienza.

CZ

Ho notato che anche la numerazione delle pagine è anticonformista. Posso chiederti come mai?

DM

La prima cosa che devo dire è che non sono io a occuparmi dell'impaginazione. Viene realizzata dal mio collega e co-fondatore Matthew Liegghio, che vive e lavora a Toronto. Questa impaginazione era una sua idea fin dal primo numero. Devo ammettere che, nel corso degli anni, molte persone mi hanno chiesto informazioni a riguardo e continuano a chiedermelo. So che può sembrare un po' anticonformista, ma una volta che capisci il funzionamento tutto ha senso: si tratta soltanto di leggere le due pagine trascritte insieme. Sono contento che dopo tutti questi anni questo sistema continui a suscitare interesse.

CZ

Nel capitolo di Julia Schimautz, una graphic designer con studio a Berlino specializzata nella stampa Risograph, si parla di questa tecnica artigianale dedita alla nostalgia e all’imperfezione: ingredienti necessari all’elaborazione delle stampe. Imperfezione e nostalgia sono due elementi contrari al capitalismo: il primo perché nega la brama di efficienza, il secondo perché volto al passato anziché guardare al futuro. Quali credi siano degli esempi altrettanto validi nel contrastare l’omologazione e la velocizzazione di questo sistema?

La prima cosa che mi viene in mente è un concetto giapponese legato all'imperfezione, il Wabi-Sabi. È l'idea che la bellezza risieda nell'imperfezione, ciò che rende le cose uniche e speciali. In questa cultura se si rompe un bicchiere anziché buttarlo e comprarne uno nuovo, lo si ripara con dell’oro, trasformandolo in un'opera d'arte. Questo pensiero mi ricorda un po' la cucina casalinga, dove si aggiunge 'quanto basta' di un ingrediente; oppure l'orto, dove coltivi piante che non saranno mai tutte uguali, a differenza dei prodotti perfetti che trovi nei supermercati. L’imperfezione è più naturale.

Penso spesso anche al mondo analogico della musica, della fotografia e del cinema, ambiti a cui tengo molto. Ci sono tanti fattori da considerare che puoi controllare in un laboratorio professionale, ma a me piace l'idea di avere delle imperfezioni: nei fotogrammi del cinema, nella grana della pellicola, o nei vinili. Quando ascolti un vinile percepisci il trascorrere del tempo, oggi il suono digitale è così pulito che sembra non esista nessun legame con il passato o con le esperienze. Ho alcuni album in vinile che hanno delle imperfezioni, piccoli graffi che ricordo bene: ogni volta che riascolto quegli album, aspetto il momento in cui c'è quell'errore che ho fatto mettendo male il puntale nel vinile. Quella sbavatura mi ricorda un momento vissuto con i miei amici, un momento pieno di energia ed entusiasmo. Queste piccole imperfezioni arricchiscono la mia vita. Non cerco una vita così perfetta, pulita e nitida; credo che questo si veda anche nella rivista: ci sono segni, tracce di vita vissuta nelle foto, nell’imperfezione umana. Anni fa, un fotografo mi chiese perché avessimo lasciato una macchia sulla foto della prima copertina. Mi disse che, come professionista, non avrebbe mai lasciato un errore del genere. Io risposi che era una scelta: non mi sembrava giusto togliere qualcosa che esisteva.

CZ

Nel magazine sono presenti diverse opere di Andrea Bolognino, artista la cui pratica si basa sulla relazione contorta generatasi fra spettatore e materia. Bolognino sceglie di esprimersi mediante il disegno, attraverso un’immagine visiva che gli permette di sviscerare delle condizioni su cui ricade inevitabilmente la sua soggettività. Il filtro della soggettività che nella vita quotidiana impone una visione ad ognuno di noi, pensi sia un limite o una possibilità?

DM

È una possibilità assolutamente positiva. Credo molto, forse troppo, nel concetto di soggettività nella vita. Ognuno di noi percepisce la realtà in modo unico, una realtà che non esiste allo stesso modo per nessun altro. I colori che vediamo nel cielo sono diversi per me rispetto a te, così come i suoni che sentiamo: siamo tutti fisicamente diversi e abbiamo vissuto in contesti differenti. Per me, questo è il punto centrale, soprattutto in un momento come questo dove siamo sempre più portati a sfidare l'omogeneità della società. E oggi, più che mai, credo che questa sfida sia fondamentale. Forse è una delle nostre poche speranze per il futuro.

CZ

Cosa vi ha spinto a narrare il presente attraverso l’arte e la musica?

DM

Abbiamo scritto sulla copertina che è una rivista di musica e arte sperimentale, ma in realtà è molto di più: è una rivista sulla filosofia della sperimentazione in generale. Questo concetto di 'sperimentazione', soprattutto nell'ambito dell'arte e della musica può risultare problematico per molti. Cosa significa davvero? È qualcosa che cerchiamo di esplorare in ogni numero, interagendo costantemente con il termine. Mi viene in mente il primo numero, quando ho intervistato Grischa Lichtenberger e lui disse che la sperimentazione non è solo una questione estetica o una raccolta di opinioni artistiche, ma ha piuttosto a che fare con il non sapere cosa accadrà.

Lavorare in questo modo rende tutto più interessante. Se pensiamo al presente, questo è sempre in divenire, una continua proiezione verso il futuro, ma anche un momento che si rinnova continuamente. Questo si lega all'idea di non omogeneità. Molti degli artisti con cui lavoriamo si collocano nel mondo della sperimentazione proprio perché cercano di uscire dalle logiche capitalistiche, anche se inevitabilmente viviamo tutti in questo sistema. Le opere di cui parliamo non sono create per soddisfare le statistiche o i numeri, ma per esprimere qualcosa di autentico. Non scegliamo gli artisti in base ai follower o alla popolarità del momento, ma per il valore intrinseco delle persone. Per me, tutto questo è il vero significato della sperimentazione e del vivere il presente.

CZ

Non strutturare un progetto basandosi sulle statistiche e sulle percentuali è forse ciò che lo mantiene vivo nel tempo? Penso che a volte cercare di creare qualcosa di troppo legato al presente possa renderlo estraneo al futuro.

DM

Forse sì, in un certo senso. Un nuovo numero di 20 Seconds per me ha lo stesso valore del primo. Non percepisco davvero una differenza, anche se sono passati quattro anni. È legato al fatto che collaboriamo spesso con artisti che conosciamo da molto tempo, seguiamo il loro lavoro da anni e non ci sono dubbi sulla loro autenticità. Non è come nel mondo della musica pop: un artista diventa popolare in un anno, si esibisce al Coachella, ma non ha nemmeno abbastanza canzoni per farlo, o i suoi pezzi suonano tutti uguali.

CZ

Nell’intervista all’illustratore Mazen Kerbaj ad un certo punto gli viene chiesto quando comincia a disegnare, ma lui risponde sovvertendo la domanda e dice: “Per quanto mi ricordo, ho sempre disegnato. Non ho iniziato a disegnare. Formulo la domanda in modo diverso. Quando non ho smesso di disegnare? Perché ad un certo punto i bambini iniziano a smettere di fare cose da bambini”. Credo che lo smettere di fare cose da bambini coincida spesso con la presa di coscienza delle convenzioni altrui. Altrui per i bambini, nostre degli adulti: succubi dell’univoca narrazione di cui parlavamo prima. Volevo chiederti quale pensi sia stata la cosa da bambino che hai smesso di fare? E se hai mai ricominciato

DM

Da bambino ero molto interessato al mondo dell'arte, alla pittura, ma a un certo punto mi sono reso conto che probabilmente non ero molto bravo e ho smesso. Forse è l'opposto di quello che è successo con la scrittura. Disegnare mi piace ancora, in un certo senso, ma non mi è mai venuto naturale. Era qualcosa che mi appassionava, però c’era sempre uno sforzo per sedermi alla scrivania e mettermi a disegnare o lavorare con i colori. Con la scrittura, invece, è sempre stato tutto più naturale. Non ho mai pensato che fosse difficile scrivere. Non proprio da bambino, ma da adolescente è diventato chiaro che la scrittura era più adatta a me. Quindi sì, ho lasciato una cosa per dedicarmi a un'altra.

CZ

Una domanda che faccio spesso è come si arriva a scegliere le autrici e gli autori presenti in ogni edizione?

DM

Gli autori e gli artisti che collaborano con noi sono sempre scelti in base alla persona. Per quanto riguarda i contributori, o li conosciamo direttamente oppure abbiamo letto qualcosa che ci ha colpito. In genere scegliamo autrici e autori con idee e progetti che si sposano con la nostra visione.  Per quanto riguarda gli artisti, come dicevo prima, molti di loro gravitano già nella nostra orbita. A volte non è il momento giusto, ma magari dopo un paio d’anni torniamo su di loro per una collaborazione. È un processo piuttosto organico. Credo che il tutto sia basato più sui rapporti umani che su quelli puramente professionali, prima c'è una fiducia personale e poi si sviluppa un'affinità di pensiero.

CZ

Nel magazine Enrico Casagrande, direttore artistico della compagnia Motus fondata con Daniela Nicolò, afferma che per lui il teatro corrisponde ad un breve lasso di tempo tra il momento del pensiero e quello della reazione: pensi a una cosa e riesci a farla accadere. Credi sia lo stesso automatismo che porta alla creazione di 20seconds?

DM

Dipende. Fare una rivista di questo tipo significa rispettare delle scadenze, deve uscire in un periodo stabilito. Per questo motivo, è ancora una rivista periodica e non un libro d’arte. Io provengo dal mondo del giornalismo, le tempistiche per me sono fondamentali e non esiste un’alternativa; tuttavia, per molte altre persone non funziona in questo modo. A volte le cose non vanno come programmato e in questi momenti è necessario seguire l’intuizione. Come ha detto Enrico Casagrande, il periodo è breve e devi prendere decisioni rapide. Si tratta di gestire tante piccole cose, migliaia di dettagli: in un giorno, in un’ora o persino in dieci minuti, devi fare ciò che è necessario. Da questo punto di vista, c’è una certa similitudine. D’altra parte, questa rivista esce ogni sei mesi, e non potrei dire che sia sempre fatta in un attimo, abbiamo il tempo di riflettere su ciò che facciamo, sarebbe sbagliato agire senza ponderare le decisioni per sei mesi. Inoltre, cambiamo continuamente: il nostro umore cambia, il tempo cambia, le stagioni cambiano e non siamo mai le stesse persone che eravamo ieri o che saremo domani.

CZ

Visto che il tema di questa edizione di Mag to Mag è l’intelligenza sentimentale, come pensi che l’AI impatterà o sta impattando sul mondo dell’arte e della musica?

DM

Mi è stata posta una domanda simile riguardo alla scrittura. Tendenzialmente rispondo alla stessa maniera: l'intelligenza artificiale può creare immagini, generare frasi e persino comporre musica. Tuttavia, l'intelligenza artificiale non può creare una disposizione unica che appartiene a ciascuno di noi. Questi fattori indipendenti sono ciò che ci rende inequivocabilmente unici. Davanti a tutte queste possibilità offerte dalla tecnologia, alla velocità della società, alla crescita dell'economia e alla riduzione del nostro tempo libero, la cosa che rimane di fondamentale importanza è la nostra lente della soggettività.

CZ

Sarò forse è un po’ scorretta, ma volevo chiederti qual è l’edizione di 20 Seconds che ti sta più a cuore.

DM

Domanda difficile, specialmente dopo tutto ciò che ho raccontato riguardo alla mentalità, alla soggettività e al fatto che non siamo come eravamo ieri. Facciamo quello che ci sta più a cuore in questo momento, influenzati dal nostro umore attuale.

Solitamente direi il numero 3, ma ieri ho sfogliato il numero 2 e per me è stato un lavoro fantastico. È composto da tante esperienze uniche e ha mantenuto la sua rilevanza nel tempo, in un mondo spettacolare, pieno di contenuti incredibili e artisti di grande talento.

 

Se la tua mente non si adagia, ma sperimenta i confini del suono e dell’arte, il numero di 20 Seconds Issue 7 fa al caso tuo. Puoi trovarlo QUI.

 

 

 

 

 

 

 

28 ottobre 2024 — Chiara Zonta

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